Friday 21 August 2015

Edith Stein, joy and gift

Heidegger-Stein, la gioia contro l’angoscia
Pier Luigi Fornari. 5 March 2014. http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/heideggere-stein-la-giogia-contro-angoscia.aspx

Il convegno / L’Antropologia filosofica di Edith
Si apre giovedì 6 marzo alla Lateranense, con un saluto del rettore, il vescovo Enrico dal Covolo, il convegno internazionale sulla antropologia filosofica di Edith Stein. Introdurrà il prorettore Patrick Valdrini, che presiederà la prima sezione nella quale Angela Ales Bello tratterà delle "radici husserliane dell’antropologia filosofica della Stein". Hanna Barbara Gerl Falkovitz, rintraccerà la concezione dell’esistenza come dono nell’opera di Santa Teresa Benedetta della Croce. Venerdì Hans Reiner Sepp (Università di Praga) terrà una relazione sul tema della persona, e Jean-François Lavigne (Nizza) sull’intenzionalità e l’essenza dello spirito. Nel pomeriggio Antonio Calcagno, (University College di Londra) analizzerà l’evoluzione del concetto di comunità nell’opera della Stein, e Daniela Verducci (Macerata) la metterà a confronto con quella di Max Scheler. Presiederanno rispettivamente le 3 sezioni del 7 marzo: Ulrich Dobhan Ocd, direttore dell’Edith Stein Jahrbuch, Gianfranco Basti, decano di filosofia della Pul, Jacinta Turolo Garcia Ascj (San Paolo in Brasile), e Luisa Avitabile (Cassino). Concluderà i lavori la Ales Bello. Il convegno corona una serie di lezioni tenute da Ales Bello, Nicoletta Ghigi, Anna Maria Pezzella. 

Gioia versus angoscia. Chi volesse semplificare al massimo il confronto tra Edith Stein e Martin Heidegger potrebbe trovare in questa opposizione un’immagine efficace della diversità del loro pensiero. Una rappresentazione che stride evidentemente con la conclusione tragica della vita terrena di santa Teresa Benedetta della Croce e il successo incontrastato (incontrastato perfino dal dibattito sulla qualità e l’importanza del suo coinvolgimento nel nazismo) di cui il filosofo della Foresta Nera ha goduto e sembra godere anche in università e circoli culturali cattolici. 

Purtroppo poco meditata e studiata è l’intensa interlocuzione filosofica che la fenomenologa di origine ebraica ha intrattenuto con l’autore di Essere e tempo: grande attenzione al suo pensiero, concordanze, ma soprattutto lucidissima critica. La Stein, tra l’altro, rimprovera a Heidegger di mitizzare il nulla [mythologische Redeweise] «come se si parlasse di una persona da aiutare una a ottenere una volta per tutte un diritto negato da sempre». 

E ancora gli imputa di aver concepito la temporalità e la finitezza dell’uomo come «catenaccio», per una sorta di suo «risentimento» anticristiano [antichristlicher Affekt], motivato forse dalla volontà di cancellare la fede che aveva ereditato.

Oltremodo opportuno, dunque, per approfondire questi e altri attualissimi temi, il convegno che prende l’avvio domani a Roma, alla Lateranense, sull’antropologia filosofica di Edith Stein, con la partecipazione di esperti di primo piano a livello mondiale. Ad aprire e concludere il convegno sarà Angela Ales Bello, iniziatrice e guida in Italia degli studi sulla santa filosofa, e ora direttrice dell’Area internazionale di Ricerca Edith Stein nella filosofia contemporanea, attivata da un anno dalla Lateranense.
Proprio in tema di rapporti con Heidegger, la relazione di Hanna Barbara Gerl-Falkovitz, illustrerà come la filosofia della Stein non abbia nulla da invidiare alla suggestiva meditazione di Jean Luc Marion sul "dono". 

Proprio un’analisi fenomenologica dell’essere umano, nella sua finitezza e nella sua temporalità, invece, come argomenta la studiosa tedesca, consente alla Stein di elevare il pensiero a un Essere Eterno. «Questa apertura della riflessione – osserva la Gerl – porta la Stein oltre il pensiero dell’essere di Tommaso, oltre quello dell’Io di Hussserl
a quello di Agostino sulla relazione: in essa si rivela il carattere di dono dell’esistenza, e in risposta, l’abbandono a una Persona Eterna e l’accoglienza attraverso una Persona eterna». 
Si apre così una "breccia" nell’ontologia: dal concetto di essere a quello più ricco di Persona. Pur nella finitezza umana, conclude la docente della Hochschule filosofico-teologica dell’Austria citando la Stein, «il conoscere amare e servire, e la santa gioia nel conoscere, amare e servire, è al contempo un ricevere e accettare, è libero dono di sé a questa vita donata».

È in gioco dunque una visione antropologica, tema oggi quanto mai strategico nella salvaguardia dell’umano e delle sue istituzioni fondamentali, come il matrimonio e la famiglia. Su questo terreno, significativamente, può essere individuato uno spartiacque tra Edmund Husserl e la Stein, da una parte; e Heidegger, dall’altra, come dimostrano gli studi della Ales Bello. Seppur l’iniziatore della fenomenologia e il suo assistente si scambino reciprocamente accuse di "antropologismo" ricorda la fenomenologa italiana, di fatto Husserl si colloca nel solco della antropologia di San Paolo: l’uomo è corpo, anima e spirito. «Una concezione assolutamente insufficiente», replicherà Heidegger, bocciando tutto l’orientamento dell’antropologia greco-cristiana, che ha coniugato la definizione dell’essere umano come animale razionale con l’essere e l’essenza di ordine teologico.

«È stata comunque la Stein – sottolinea la ex decana di filosofia della Lateranense – a contribuire in modo determinante alla nascita della antropologia filosofica, ancora sconosciuta negli anni ’30, e a conferire alla disciplina questo nome». La fenomenologa che Giovanni Paolo II volle patrona d’Europa, supera, integrandola, l’antropologia concepita come scienza della natura, e studia l’essere umano in quanto essere spirituale. «Non basta perciò – aggiunge la Ales Bello –, riferirsi alle cosiddette scienze dello spirito, ad esempio la storia, il diritto, le quali non sono altro che prodotti dell’attività spirituale, ma è necessario esaminare che cosa sia lo spirito, all’interno della complessa stratificazione dell’essere umano». 

Non a caso nelle prime pagine della Struttura della persona umana, testo preso in esame nel primo anno di vita dell’area internazionale di ricerca sulla Stein, la filosofa avverte che è impossibile fare opera pedagogica se l’uomo è concepito solo come «un essere gettato di fronte al nulla» (Heidegger) o come un fascio di istinti (psicologia del profondo). «Ci si deve domandare che senso possa avere una chiamata a una esistenza che viene dal nulla e va verso il nulla», osserva la Stein, avversando l’idea che un educatore possa farsi difensore di questa chiamata presso i giovani. Osservazioni probabilmente dettate anche dal clima che stava montando in Germania in quei giorni. Una ragione in più, per la Stein, per fondare l’azione educativa sulla metafisica cristiana. Un altro terreno di contrasto con Heidegger, che liquidava una filosofia che assumesse una tale qualifica come «ferro ligneo».


Husserl's edifying death

EDITH STEIN AND THE TRUTH ABOUT HUSSERL
[a loose and free translation of Pier Luigi Fornari, "Edith Stein e la verità su Husserl," Avvenire 26 July 2015, p. 19]

In the easy way in which Italian papers contain items about philosophers, Pier Luigi Fornari has a little article in the Avvenire of Sunday, 26 July 2015 entitled “Edith Stein and the Truth about Husserl.” In contrast to what some say, it would appear that Husserl died a peaceful and edifying death.

It is a providential ‘lapsus’ on the part of Maurizio Ferraris that helps us discover the profound spiritual exchange between Edith Stein and her master Edmund Husserl. In his essay, “Ontologia ansiosa,” Ferraris tells us about the last dramatic days of Jacques Derrida, and in this context he mentions a letter of Husserl to Stein.

In point of fact, we are dealing not with a letter of Husserl to Stein, but with a conversation between the founder of phenomenology and Sr Adelgundis Jaegerschmid who was assisting him during the last years of his life. (The conversation itself was published in a famous German journal along with other dialogues with Husserl.) “I had no idea that it would be so difficult to die,” Husserl confesses. “And yet I have tried hard, all my life, to get rid of all futility! Now that I have arrived at the end, and everything is finished for me, I know that I have to begin all over again.”

Ferraris’ source, which is Derrida’s Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, correctly attributes the phrase to the report by the Benedictine nun. But the philosopher of deconstruction mistakenly interprets these words as evidence of the human failure of Husserl, because of “an objectivist or idealist checkmate.”

Instead, if one goes further into Jaegerschmid’s account, one realizes that the true last words of Husserl indicate a victory rather than a defeat. Husserl’s agony began on Holy Thursday, 14 April and ended on 26 April 1938, extending over the weeks before and after Easter. Sr Adelgundis’ long account begins in 1931 and shows how Husserl slowly drew near to a faith that was intensely lived and not merely thought. On 14 April we find him still determined to maintain the neutral position of a thinker: “I have lived as a philosopher, I want to try to die as a philosopher.” Then things begin to change, in dialogue with the religious sister and nurse: “Is it possible to die well?” he asks. “Yes, and in deep peace,” responds the sister. “But how?” Husserl persists. “In God,” comes the response.

Later, at the end of a reflection on Psalm 22 (“You are my shepherd”) that the sister recited aloud, Husserl makes a request: “Now you must pray for me.” Towards 9.00 p.m. on Holy Thursday he says to his wife: “God has received me into his grace, and has allowed me to die.” From that moment he did not speak any more of his philosophical work and he appeared relieved. When he awoke the next morning he said: “Today is Holy Friday, what a marvellous day. Yes, Christ has forgiven everything.” Then he passed thorugh moments of anguish and of pain, but his struggle ended luminously. He said to the sister-nurse: “I have seen something marvellous: quick, write!” But when the nurse returned with a notebook, Husserl was dead.

We have a confirmation of this account by Husserl’s wife Malvine, who converted to Catholicism in 1941. The testimony is reported by Karl Schuhmann, the most rigour biographer of Husserl. Malvine recounts that for her husband, “the night of his death was like a revelation of the most profound mysteries of existence. Wonder, reverence, emotion, a presentiment of a wonderfully great reality, all these awakened in him, together with a feeling almost of happiness. There were no tears, he did not show any sign of bitter suffering. He lay in complete peace, his face becoming more and more beautiful, no wrinkle on his bright skin, his breath ever more peaceful. And when the nurse bent over him and said, ‘Proficere anima christiana,’ he breathed his last, barely perceptible breath. ‘He died like a saint,’ the Sister said in tears.”

It seems that Edith Stein has nothing to do with all this. But instead she does. She was following the final suffering of her master from her Carmelite monastery in Cologne, where she was preparing for her final vows, which she professed on 21 April. In a letter written a few days after the death of Husserl she said about a letter from Malvine: “The events of this week seem to me a real gift on the occasion of my profession. I was earnestly hoping that Husserl would pass to eternal life during this week, in the same way that my mother passed away exactly at the moment when we were renewing our vows. Not that I have great faith in my prayers or in my ‘merits’. I am only convinced that God does not call anyone for his own sake and that, besides, when he is happy with the offering of a soul, he is prodigal with the signs of his love.”

What Edith Stein had always thought about the sincerity and honesty of her master’s search for truth had actually come to pass: “The man who really searches for truth lives at the very heart of his intellectual quest. If he really aims at truth (and not merely at a collection of particular notions), he is perhaps closer to God than he himself suspects.”

Why do I keep discovering such things? In Jerusalem there was Minh Dang who told me about the little (or big) tricks that Heidegger had played with the work of Husserl and Stein. And now this.

Add to it the fact that Heidegger himself had that very ambiguous funeral. But certainly Husserl, if we are to go by the above, is clearer, far clearer – and more peaceful, in death as in life. That he passed his last agony in Holy Week; that his pupil and then Carmelite nun and later martyr Edith Stein should be praying her serene prayer for him; that he should be assisted by a Catholic nun and that his wife should later become Catholic.

And that I should discover that Stein’s godmother was a Protestant, Hedwig Conrad-Martius, herself a disciple of Husserl’s, and who wrote books that should be one of the driving inspirations in the thought of Joseph Ratzinger on person and community.